4.6

Sentenza del 02/05/1996

Pretura - Torino

riguardante :

SICUREZZA E IGIENE DEL LAVORO

Igiene del lavoro

Videoterminali

Pretura Circondariale di Torino

Repubblica Italiana

In nome del popolo italiano

Il Pretore Bruno Giordano alla udienza del 2.5.1996 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

Sentenza

nei confronti di: S. G.

imputato

Del reato di cui agli artt. 590, commi 1, 2 e 3, e 583, comma 1 n. 1 c.p., per avere - quale direttore del settore approvvigionamenti presso l'Enel di Torino - cagionato a M.L.A. una malattia durata piu' di 40 gg. (sindrome astenotipica del videoterminalista, e segnatamente, affaticamento oculare, necessita' di distogliere lo sguardo da particolari di piccole dimensioni osservati per vicino, dolore oculare, cefalea, fotofobia), per colpa e, in particolare per negligenza , imprudenza, imperizia, inosservanza delle norme sull'igiene del lavoro, e segnatamente degli artt. 2087 cc., e 4 lett. b) del d.p.r. 19 marzo 1956 n. 303, giacche' adibiva la M. a compiti lavorativi comportanti un alto e ragguardevole impegno visivo (scrittura/lettura di ordini in qualita' di addetta agli acquisti, con l'impiego di videoterminali dal giugno 1986), senza previamente sottoporre la M, a esame dell'apparato oculo-visivo, senza tener conto delle indicazioni e delle limitazioni sottolineate in specifiche certificazioni sanitarie prodotte dalla M. e senza renderla edotta degli specifici rischi inerenti ai compiti lavorativi svolti e dei modi per ovviare a tali rischi, e la manteneva in tali compiti malgrado la patologia oculare accertata della M. (miopia grave, degenerativa con distrofia maculare e grave deficit funzionale visivo bilaterale) e nonostante le indicazioni e limitazioni sottolineate nelle predette certificazioni sanitarie.

Con l'intervento del P.M. dott. Guariniello, dell'avv.to Vinciguerra difensore di fiducia e dell'avv.to D'Amico difensore parte civile

Le parti hanno concluso come segue:

P.M.: provata la penale responsabilita' dell'imputato chiede la condanna alla pena di mesi due di reclusione.

Parte civile: voglia il pretore ritenere l'imputato responsabile dei reato ascrittogli e condannarlo alle pene di legge oltre al risarcimento di tutti i danni patiti dalla parte civile da liquidarsi in separato giudizio liquidando sin d'ora una provvisionale immediatamente esecutiva nella misura di lire 200.000.000. Chiede altresì che in caso di condanna dell'imputato a pena detentiva voglia il pretore condizionarne l'eventuale concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento in favore della parte civile della provvisionale di cui sopra entro il 30.5.1996. Con il favore dei onorari ed esposti come da nota allegata al verbale.

Difesa: chiede se il fatto contestato all'imputato, precedente alla vigente normativa sull'igiene e sicurezza del lavoro, D.L.vo 626/94, puo' essere penalmente rilevante in base alla normativa preesistente al decreto legislativo 626/94 e se la norma europea 270/90 da cui e' stato recepito in legge nazionale il D.L.vo 626/94 imponga un'osservanza tassativa tradotta in norme generali valide nell'ordinamento italiano prima dell'avvento del D.L.vo 626/94, in merito alle visite mediche preventive per quei lavoratori destinati all'attivita' sui videoterminali. Cio' premesso in principalita' chiede l'assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto, in subordine perché il fatto non sussiste, in ulteriore subordine perché il fatto non costituisce reato.

In estremo subordine non doversi procedere per avvenuta prescrizione e/o amnistia.

Motivi della decisione

1 - L'imputazione

L'imputato S.G. viene tratto a giudizio, nella qualita' di direttore del settore approvvigionamenti compartimentale (SAC) dell'Enel di Torino, per rispondere del reato ex art. 590 commi 1, 2 e 3 e 583 comma 1 n. 1 c.p. per avere cagionato alla dipendente M.L.A. una malattia professionale di durata superiore a 40 gg., costituita dalla c.d. sindrome astenopica del videoterminalista. In particolare all'imputato viene ascritta per colpa generica e specifica (violazione degli artt. 2087 c.c. e 4 lett. b) d.p.r. 303/56) l'adibizione della p.o. a compiti lavorativi comportanti un alto e ragguardevole impegno visivo (scrittura/lettura di ordini in qualita' di addetta agli acquisti, con l'impiego di videoterminali dal giugno 1986), senza previamente sottoporre la M. a esami dell'apparato oculo-visivo, senza tener conto delle indicazioni e delle limitazioni sottolineate in specifiche certificazioni sanitarie prodotte dalla M., e senza renderla edotta degli specifici rischi inerenti ai compiti lavorativi svolti e dei modi per ovviare a tali rischi. Inoltre l'imputato e' accusato di aver mantenuto la M. in tali compiti malgrado la patologia oculare accertata (miopia grave, degenerativa con distrofia maculare e grave deficit funzionale visivo bilaterale) e nonostante le indicazioni e le limitazioni sottolineate in varie certificazioni sanitarie.

L'accusa chiede di verificare la condotta dell'imputato sia sotto il profilo della colpa generica sia sotto il profilo della colpa specifica per violazione degli obblighi previsti dagli artt. 2087 c.c. e 4 lett. b) d.p.r. 303/56.

Quest'ultima disposizione - analogamente alla previsione dell'art. 4 lett. b) d.p.r. 547/55 - impone al datore di lavoro (e/o al dirigente e al preposto) di rendere edotto il lavoratore circa i rischi specifici cui viene esposto e dei modi per prevenire i danni ricollegabili a tali rischi.

L'obbligo de quo si fonda sull'esigenza che i lavoratori conoscano i pericoli della loro attivita', con le relative misure preventive, affinché possano sia tutelarsi in prima persona sia esigere tutela mediante l'osservanza delle misure e l'adeguamento dell'organizzazione del lavoro.

Tale obbligo di informazione sorge per la mera presenza nell'ambiente di lavoro di un rischio per la sicurezza dei lavoratori ed e' correlato ai caratteri specifici del rischio, da intendersi sia oggettivamente (quale pericolo derivante dal tipo di lavoro) sia soggettivamente (quale minaccia per la salute in concreto percepibile da ogni singolo lavoratore). Ne consegue che la valutazione dei rischi specifici deve tener conto anche delle condizioni dei singoli lavoratori, posto che in relazione alla loro esposizione individuale o a pregresse condizioni di salute un unico pericolo puo' investire in misura diversa i singoli lavoratori che pur operano nello stesso ambiente e con le stesse mansioni.

In linea con una consolidata giurisprudenza di legittimita', il destinatario di tale obbligo in primo luogo deve informarsi eventualmente anche ricorrendo a fonti esterne - su tutti i rischi presenti nell'ambiente di lavoro attraverso un costante adeguamento della cultura tecnica e scientifica; in secondo luogo deve informare il lavoratore sui rischi che con quel tipo di mansioni, in quel concreto ambiente di lavoro, in quelle precise condizioni di tempo e di luogo, possono ricadere su quei lavoratore.

L'obbligo di informazione comprende anche le modalita' concrete mirate ad evitare che quei rischio specifico arrechi dei danni al lavoratore.

La prospettazione accusatoria riguarda anche la violazione degli obblighi previsti dall'art. 2087 c.c. che impone di adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarita' del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrita' fisica e la personalita' morale dei prestatori d'opera".

Tale disposizione, di portata piu' ampia rispetto all'art. 4 cit., conferma che la determinazione degli obblighi e' relativa alle peculiarita' del lavoro concretamente svolto in quell'ambiente e implica un continuo adeguamento allo sviluppo della tecnica, all'esperienza e all'evoluzione scientifica. L'art. 2087 c.c., per la massima tutela dell'integrita' fisica del lavoratore, esige che in tutte le prestazioni d'opera venga assicurata anche una sorveglianza sanitaria preventiva e periodica in relazione ai concreti pericoli presenti nello specifico ambiente di lavoro.

Non v'e' ragione alcuna per escludere da tale tutela il lavoro di addetto ai videoterminali o visual display terminals (vdt).

2. - La questione pregiudiziale comunitaria

In ordine a tale quadro normativo la difesa in sede di discussione finale chiede di sollevare ai sensi dell'art. 177 Trattato CEE questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia della Comunita' per porre il seguente quesito: "chiarisca la Corte di giustizia se l'art. 189 Trattato di Roma consente al legislatore nazionale di pretendere dai singoli datori di lavoro l'osservanza di obblighi imposti dalla Dir. CEE n. 270/90 relativamente ad un periodo in cui la stessa non era stata ancora introdotta nell'ordinamento italiano e lo pretenda attraverso disposizioni di legge nazionale aventi carattere generale come l'art. 2087 c.c., che non sono espressamente dettate per dare attuazione a tale direttiva"

La questione e manifestamente irrilevante nel presente giudizio. L'art. 177 del Trattato di Roma, infatti, nel disciplinare il procedimento di remissione alla Corte di giustizia di questioni sollevate innanzi all'autorita' giurisdizionale di ciascun paese membro, inerenti l'interpretazione dei Trattato stesso e la validita' e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della comunita', prevede che la pronuncia della Corte sulla questione debba essere ritenuta dal giudice a quo necessaria per l'emanazione della sua sentenza.

Tale pregiudizialita' non sussiste nel caso di specie perché, in forza dei principi di diritto interno che regolano l'applicazione nel tempo delle leggi penali, il pretore e' chiamato a giudicare i fatti alla luce della legislazione vigente al tempo in cui si sono verificati (fino al 1989), quando non era stata ancora emanata la Dir. CEE 270/90 né tanto meno il D.L.vo 626/94. Anche qualora si ritenesse che il fatto sub iudice rientri sia nella disciplina in vigore all'epoca dei fatti (verificatisi fino al 1989) sia nella disciplina oggi vigente nella stessa materia dettata dal D.L.vo 626/94, che ha recepito la Dir. CEE 270/90, si dovrebbe verificare se la nuova ha abrogata la vecchia normativa (e così non e') o soltanto l'ha modificata per applicare la norma piu' favorevole ex ad. 2 c.p.: operazione ermeneutica che non presuppone un'anticipazione della vigente normativa attraverso l'art. 2087 c.c. né tanto meno un'applicazione (e quindi un'interpretazione) dell'art. 189 cit.

La questione l'interpretazione dell'art, 189 Trattato di Roma, così come posta dalla difesa, e' irrilevante ai fini della decisione e, quindi, inammissibile.

3. - L'astenopia del videoterminalista

Prima di esaminare in concreto la condotta contestata all'imputato e' necessario precisare che l'evento lesivo per cui si procede e' costituito dalla c.d. sindrome astenopica o astenopia del videoterminalista e non certo dalla miopia della p.o. che rappresenta semplicemente una condizione antecedente e concomitante rispetto all'astenopia.

Attesi i dubbi della difesa sulla possibilita' di considerare l'astenopia quale malattia ex artt. 582, 583 e 590 c.p., sulla riconducibilita' alle condizioni di lavoro della p.o. e sull'effettiva insorgenza della sindrome, il pretore ritiene di analizzarne precipuamente i caratteri affinché si accerti che trattasi di una malattia e quindi di un evento penalmente rilevante quale lesione della persona, In secondo luogo, e' necessario esaminare quale siano i rischi specifici del lavoro al vdt e verificare se vi sia un nesso di causalita' tra tale lavoro e l'astenopia od altre patologie soprattutto (ma non soltanto) oculari.

Evidenziato innanzi tutto che secondo una consolidata interpretazione giurisprudenziale la sfera semantica del termine "malattia" comprende tutte le alterazioni anatomiche o funzionali ancorché lievissime, dalla lettura di una serie di manuali scientifici di comune consultazione, alcuni dei quali richiamati dai c.t. O. e M., si ricava con certezza che l'astenopia rappresenta un'alterazione funzionale.

Infatti l'astenopia e' costituita da un insieme di disturbi funzionali dovuti allo sforzo dell'apparato visivo per conseguire risultati eccedenti le proprie possibilita' fisiologiche ricorrendo ad artifici stressanti.

Tra le cause che possono portare all'astenopia vi e' in primo luogo l'impegno visivo statico, ravvicinato e protratto; cioe' il lavoro in cui gli oggetti osservati sono distanti dagli occhi meno di un metro e i muscoli per la messa a fuoco dell'immagine e per la motilita' oculare sono fortemente sollecitati. Di conseguenza l'impegno aumenta quanto piu' l'oggetto e' vicino e quanto piu' a lungo e' fissato nel tempo.

Lo sforzo comporta un affaticamento dell'apparato visivo che si manifesta con un complesso di sintomi quali fotofobia, cefalea, lacrimazione, sensazione di bruciore agli occhi, secchezza, visione sdoppiata e stanchezza nella lettura.

I c.t. richiamano fra gli altri vari excerpta del testo Oftalmologia clinica di C. Toselli e M. Miglior (1980): "i sintomi obiettivi, dovuti per lo piu' alla congestione vasale indotta dalla maggiore attivita' muscolare, consistono in iperemia ricorrente del bordo palpebrale e della congiuntiva, con lacrimazione e catarro. I sintomi visivi consistono in un offuscamento transitorio o in senso di confusione o anche di diplopia, insorgenti soprattutto dopo letture prolungate o comunque dopo applicazioni protratte in lavoro da vicino".

I sintomi generali sono costituiti dalla cefalea con variazione di intensita' e frequenza del dolore che "pur insorgendo piu' tipicamente nelle ore serali, specie dopo un lavoro faticoso, compare a volte di prima mattina, dopo il riposo notturno". Oltre al sintomo frequente di una vaga sensazione di vertigini vi sono una serie di disturbi minori quali ad esempio l'ipersensibilita' del cuoio capelluto, la dispepsia, la nausea, l'anoressia, il corrugamento della fronte, l'aggrottamento delle sopracciglia, gli spasmi della muscolatura facciate, i tic palpebrali, nonché la possibilita' di disturbi neuropsichici piu' tipici delle donne (vedi M. Miglior in Oftalmologia clinica pag. 686).

Una conferma che l'astenopia costituisce un'alterazione funzionale frequente fra i lavoratori 'addetti al vdt viene dall'O.M.S. nella monografia pubblicata nel 1987 - che in seguito sara' oggetto di lettura - nonché dallo studio di A. Di Bari, F.M. Grignolo, B. Boles Carenini, G.F. Rubino, "Analisi fattoriale dei disturbi lamentati dagli addetti a terminali video" (Boll. Ocul. 69, 1990, pp. 129-132). In quest'ultimo pregevole studio, analizzando circa trentamila impiegati, gli autori osservano che i disturbi oculari presenti negli addetti ai vdt sono riconducibili a due fattori: fattore oculare (con i seguenti sintomi: bruciore oculare, pesantezza bulbare, fotofobia, cefalea, lacrimazione, prurito oculare) e fattore visivo (con i seguenti sintomi: riduzione dell'acuita' visiva, visione sfocata, visione sdoppiata). Lo studio conclude determinando i caratteri nella sindrome quale certa alterazione funzionale e in particolare affermando "che i disturbi lamentati dagli operatori sono effettivamente d'organo, con l'interessante particolarita' della netta divisione tra disturbi prettamente organici e disturbi della visione".

Alla luce di tali emergenze - in assenza di una diversa opinione scientifica prospettata dalla difesa che ha discusso la natura dell'astenopia senza apportare un proprio c.t. - il pretore ritiene che tutti gli elementi scientifici depongano univocamente a favore dell'astenopia quale serie di sintomi che indicano un'alterazione funzionale dell'apparato oculo-visivo e quindi una malattia, evento penalmente rilevante ai sensi degli artt. 583 e 590 c.p.

4. - I rischi specifici del lavoro al vdt

E' preferibile ripercorrere alcuni momenti dell'evoluzione scientifica in tema - muovendo dagli studi noti gia' negli anni 86-89, periodo in cui la p.o. era addetta al vdt - per illustrare i rischi specifici del lavoro al vdt e le relative misure preventive nonché per tracciare tre diversi profili eziologici: a) il nesso di causalita' tra determinate condizioni di lavoro al vdt e l'astenopia; b) probabilita' che l'astenopia insorga anticipatamente, piu' frequentemente e/o con sintomi piu' gravi nei soggetti affetti da pregresse patologie oculari; c) possibilita' che il lavoro al vdt - oltre l'astenopia - provochi o aggravi altre patologie, non soltanto oculari.

A) Nell'ambito degli effetti nocivi per la salute derivanti dall'uso dei vdt nella seconda meta' degli anni settanta e nei primi anni ottanta la comunita' scientifica evidenzia - con risultati progressivamente sempre piu' allarmanti - i pericoli per l'apparato oculo-visivo. Si pensi al lavoro di Anfossi e Vitale esposto al convegno di Ergoftalmologia di Bari del 1981, agli studi di H. Bouma del 1971 e dei 1978, a quelli di F.L. Engel del 1977 e del 1980 (quest'ultimo mirato direttamente al tema che ci occupa: "Information selection from visual display units") e anche agli studi di M. Hausing del 1976 e di Th. Laubli - W. Hunting del 1980.

Nel 1983 G. Anfossi pubblica uno studio condotto nella citta' di Torino in ordine all'affaticamento visivo e ai disturbi oculari in soggetti addetti ai vdt (Boll. Ocul. 62, pp. 149 ss.) da cui emerge che vi sono due gruppi di lavoratori che risentono in misura notevolmente diversa dagli effetti pericolosi dell'uso dei videoterminali. Un primo gruppo e' costituito dai lavoratori addetti al vdt per oltre il 50% della giornata lavorativa fra cui v'e' un'alta percentuale di soggetti che accusano affaticamento generale (65%) e veri e propri disturbi oculari (82,5%); un secondo gruppo utilizza il vdt per meno del 50% del tempo lavorativo e accusa i medesimi disturbi ma in misura notevolmente inferiore.

Tale differenza si nota anche comparando i disturbi oculari accusati dai due gruppi: infatti il gruppo maggiormente impegnato al lavoro ai vdt e' costituito dal 71,4% di persone che accusano affaticamento visivo a fronte dell'indice del 54,2% di persone appartenenti al gruppo meno impegnato ai vdt. Simile proporzione sussiste anche per i disturbi costituiti da bruciore, lacrimazione, arrossamento, congiuntivale, ammiccamento frequente, annebbiamento visivo.

Lo studio conclude: "e' indubbio che negli operatori un certo affaticamento visivo puo' sorgere ma solo dopo un certo numero di ore lavorative"; di conseguenza v'e' l'opportunita' di organizzare l'attivita' in turni di breve durata alternati ad altri in cui il soggetto svolga un altro tipo di attivita'.

Nel 1984 durante il convegno nazionale di oftalmologia sociale, a Sorrento, B. Boles Carenini, G.F. Rubino, F.M. Grignolo, G. Maina propongono i valori limite dei diversi parametri oculari per l'abilitazione al lavoro ai vdt (Giornale Italiano di Oftalmologia occupazionale, giugno 1984 pp. 195 ss.).

Tale studio - definito dagli stessi autori "una guida il piu' possibile equilibrata, allo stato delle nostre conoscenze", pubblicato anche su Ergonomics and Health in Modern Offices, 1984 - puntualizza lo stato della scienza osservando che "l'uso prolungato dei vdt puo' comportare un particolare affaticamento visivo". Gli autori sconsigliano l'impiego dei vdt a coloro che non raggiungano una visione singola con entrambi gli occhi, un'acuita' visiva uguale o superiore a 8/10 naturale o con la migliore correzione tollerata se ametropi. Inoltre gli autori propongono dei valori limite oltre i quali il lavoro ai terminali deve estere limitato o escluso a seconda delle circostanze. I parametri considerati sono l'acuita' visiva, la presenza di un vizio di refrazione sferico (miopia o ipermetropia) o astigmatico, anisometropia, campo visivo, senso luminoso, senso cromatico, visione binoculare, motilita' oculare, eventuale presenza di affezioni oculari croniche o acute.

L'Organizzazione Mondiale della Sanita' nel 1987, in Visual Display Terminals and Workers' Health, analizza anche gli effetti dell'uso del vdt sull'apparato oculo-visivo tra cui l'astenopia. L'O.M.S. innanzi tutto definisce il termine astenopia, adottando un'accezione restrittiva, e descrive il corteo di sintomi dell'astenopia del videoterminalista: annebbiamento, disagio, stanchezza visiva, mai di testa etc.

La pubblicazione dell'O.M.S. costituisce anche il punto di arrivo di tutta una serie di ricerche che univocamente depongono per una pericolosita' (non generica ed indiscriminata ma) specifica e mirata per la salute del lavoratore al vdt.

Infatti l'O.M.S. sottolinea che la presenza ricorrente e percentualmente piu' elevata di tali sintomi negli operatori al vdt, rispetto ad altri lavoratori, costituisce un dato ripetutamente elaborato dagli studiosi gia' dagli anni settanta: si leggano i lavori di Gunnarsson (1979), Elias (1982), Dainoff (1981 e 1982), Ghingirelli (1982), Smith (1981).

Invero la consapevolezza della pericolosita' del lavoro al vdt e della necessita' di una verifica di idoneita' del lavoratore in relazione ad un eventuale vizio di refrazione, non v'e' soltanto nella comunita' scientifica nazionale e internazionale ma anche in Enel, gia' prima del 1986. Al riguardo assume particolare rilievo lo studio condotto dall'Universita' Cattolica del Sacro Cuore di Roma (istituto di medicina del lavoro con la collaborazione di altri istituti) per conto dell'Enel in esecuzione del c.c.l. del 25.1.1983 (art. 39) circa le condizioni ambientali, igienico-sanitarie e io stato di salute degli addetti ai vdt dell'Enel. Lo studio e' volto a "garantire, alla luce delle attuali conoscenze i migliori requisiti di idoneita', sia sotto il profilo ergonomico che della prevenzione dei rischi, agli ambienti di lavoro in cui si utilizzano prevalentemente o esclusivamente vdt" (p. 1 delle indicazioni conclusive dello studio).

L'ing. Castagnoli e il prof. Bergamaschi (escussi in dibattimento quali testi del P.M.), sulla base di sopralluoghi operati nell'ambiente di lavoro dell'Enel di Roma nell'autunno 1984, nella relazione conclusiva trasmettono all'Enel in data 1.2.1985 alcune importanti direttive.

Innanzi tutto l'indagine sviluppa alcune controindicazioni assolute per il lavoro ai vdt nello specifico ambiente di lavoro dell'Enel fra cui precipuamente quella costituita dall'esistenza "di forme patologiche oculari in fase acuta (inidoneita' temporanea), dal glaucoma (inidoneita' permanente), dal deficit di acuita' visiva binocurale uguale o superiore a 6/10 con la migliore correzione".

In secondo luogo la relazione suggerisce il controllo annuale dei soggetti con difetti visivi gravi ed evidenzia che l'una non corretta collocazione e disposizione del posto di lavoro, un carico di lavoro eccessivo, una scarsa preparazione e motivazione ad eseguire la mansione, possono concorrere alla comparsa della sintomatologia soggettiva... e per quanto riguarda la funzione visiva possono determinare un aggravamento di disturbi visivi latenti". Quindi "e' corretto che si esegua uno screening sui lavoratori per sapere qual e' il grado della loro funzione visiva... ed e' altrettanto corretto seguire nel tempo quei soggetti i quali, nel corso del controllo trasversale, si siano evidenziati disturbi visivi non adeguatamente corretti".

In terzo luogo l'indagine suggerisce di procedere ad un'articolazione del lavoro con adeguati tempi di pausa prevedendo espressamente un'indicazione di 10 minuti ogni ora o di 15 minuti ogni due ore. Cio' al fine di evitare anche una condizione di stress dovuto alla monotonia del lavoro. Fra le limitazioni dell'orario di lavoro al 50% e quindi per un massimo di quattro ore lo studio comprende i soggetti affetti da grave miopia superiore a -9D.

In esito all'indagine ambientale si precisa opportunamente che l'esposizione al vdt non e' costituita, sotto il profilo dell'impegno psico-fisico e in particolare oculo-visivo, soltanto dall'osservazione dello schermo, bensì si concentra "in almeno tre parti del posto di lavoro: il video, i documenti e la tastiera che costituiscono il campo visivo centrale, in quanto la direzione dello sguardo subisce delle veloci e frequenti variazioni tra questi elementi" (p. 29 della relazione preliminare); spunto che viene riassuntivamente precisato nelle considerazioni conclusive laddove si afferma che "per ragioni fisiologiche bisogna cercare di mantenere una distanza di visione costante, per evitare che l'operatore debba cambiare costantemente la distanza focale e che cominci a leggere con gli occhi mai accomodati" (p. 96).

Lo studio in esame tiene conto del documento scientifico di Boles Carenini, Rubino, Grignolo etc... del 1984 ma - con riguardo all'ambiente di lavoro dell'Enel - si preoccupa di evidenziarne il rigore e di adottare delle variabili che consentano di articolare e specificare l'analisi; cio' avviene distinguendo il lavoro di tipo continuo dal lavoro discontinuo allo schermo ed evidenziando altresì che "l'impegno visivo di alcune mansioni d'ufficio puo' essere altrettanto elevato quanto quello del lavoro al vdt". Per tali motivi non e' influente la pregevole memoria difensiva, ricca di allegati tecnici, circa i tempi impiegati dalla p.o. per eseguire varie operazioni o trascorsi osservando lo schermo.

Di rilievo anche la sottoindagine laddove espressamente si evidenzia nella ricerca delle cause di rifiuto dell'uso dei vdt anche l'esistenza di reazioni di rifiuto dovuti a "problemi di vista o ad altre sintomatologie... risolte con richieste di trasferimento ad altri settori" (p. 25 della relazione di sottoindagine psicologica).

Infine lo studio sottolinea l'assenza di informazione e formazione sufficiente ed affidabile che si sarebbe dovuta accompagnare all'introduzione dei vdt anche in considerazione che "nei primi anni di funzionamento le condizioni del sistema di automazione sono risultate non ottimali".

E' bene ricordare che il pregio e la validita' dei citati dati scientifici vengono confermati dai risultati della piu' ampia indagine ambientale compiuta (dal 1986 al 1988) sulle condizioni di lavoro al vdt di circa trentamila dipendenti della SIP e cui partecipano le cliniche oculistiche delle Universita' di Messina, Roma, Torino e Verona, e gli istituti di medicina del lavoro delle Universita' di Milano, Roma e Torino.

L'elaborazione di tali dati (v. Boll. Ocul. 5, 1990, specificamente gli studi di Piccoli, Molteni, Grieco) univocamente ribadisce la necessita' di attivare una vera e propria educazione sanitaria presso i lavoratori e di intervenire direttamente sull'organizzazione del lavoro per prevedere pause posturali.

Fra i fattori che incidono per una amplificazione dei disturbi tipici dell'astenopia vi rientra anche la reattivita' emozionale particolarmente registrata tra le donne addette al vdt rispetto alle donne non addette al vdt. Risultato confermato dagli studi eseguiti rispettivamente su 504 lavoratori di un'industria grafico-editoriale e su 309 lavoratori di un'industria tipografica il cui esito si osserva che: "a) i lavoratori di sesso femminile presentano un livello di disturbi maggiore rispetto al sesso maschile; b) con il crescere dell'eta' anagrafica aumenta la sintomatologia di disagio visivo" e in particolare che i disturbi piu' frequentemente accusati sono il bruciore oculare (che colpisce il 49,6% dei lavoratori) e l'affaticamento visivo (che colpisce il 75,2% dei lavoratori) (Boll. Ocul. 1990, pp. 93 ss.; 99 ss.).

In ordine alle concrete mansioni e' interessante evidenziare che un'indagine svolta su 1027 lavoratori addetti ai vdt di cui il 53% dedito al caricamento dati (come per un periodo di tempo la p.o.) evidenzia che anche in coloro che svolgono esclusivamente tale mansione vi e' comunque una presenza di sintomi tipici dell'astenopia.

Invero i rischi specifici presentati dal lavoro al vdt negli anni ottanta sono previsti e trattati anche in tutta una serie di normative contrattuali e in alcune decisioni giurisprudenziali. Fra le prime si ricordino i vari regolamenti per il recepimento delle norme risultanti dagli accordi sindacali per il pubblico impiego nonché i vari contratti collettivi nazionali di lavoro fra cui anche quello riguardante i dipendenti dell'Enel. In giurisprudenza si leggano gli obiter dicta di Pret. Lav. Torino 4.4.84 e Pret. Lav. Roma 19.5.86 e la ratio decidendi di Pret. Penale Torino 15.12.90.

Quindi dal complesso degli studi emerge con certezza che l'uso del vdt cagiona disturbi funzionali dell'apparato oculo-visivo, definiti astenopia, in misura direttamente proporzionale alle ore di utilizzo. Per prevenire tali effetti nocivi e' necessario almeno verificare l'idoneita' del lavoratore (anche per i progressi vizi di refrazione) prima e durante l'adibizione al vdt attraverso una sorveglianza sanitaria mirata; prevedere un numero di ore di lavoro quotidiano limitato che tenga conto delle condizioni psico-fisiche del lavoratore; organizzare il lavoro con pause e turni; informare il lavoratore dei rischi e delle misure da adottare.

Il datore che adibisce o mantiene un lavoratore al vdt senza adottare tali misure preventive realizza una conditio sine qua non dell'astenopia.

Di cio' gia' negli anni precedenti all'adibizione della p.o. al vdt vi e' ampia consapevolezza nella comunita' scientifica e nell'ambiente di lavoro dell'Enel, per via dell'indagine dell'Universita' Cattolica conclusa con la relazione datata 1.2.85.

B) Attesa la certezza del rapporto di causalita' tra determinate condizioni di lavoro e l'insorgenza dell'astenopia, occorre analizzare quale sia il ruolo svolto da una pregressa patologia oculare del lavoratore addetto al vdt. In particolare si deve verificare la probabilita' che l'astenopia insorga precocemente, piu' frequentemente e/o con sintomi piu' gravi nei soggetti gia' affetti da altri disturbi della vista.

Anche sotto tale profilo gli studi compiuti e pubblicati gia' nei primi anni ottanta evidenziano la maggiore predisposizione e sensibilita' del soggetto portatore di un vizio di refrazione verso il rischio di insorgenza dell'astenopia.

Anfossi colloca tra i principali fattori causali dell'astenopia (condizioni ergonomiche del posto di lavoro, apparecchio etc) soprattutto la situazione refrattiva qual e' "la presenza di astigmatismi o di ametropie sferiche non opportunamente corrette, uso di lenti non idonee al vizio da correggere o presenza di altre situazioni patologiche in atto" (Boll. Ocul. 62, 1983 p. 149 ss.).

Nel 1984 gli studi prodotti dalla clinica oculistica dell'Universita' di Torino, muovendo dalla necessita' di osservare i disturbi oculari prodotti dagli schermi, individuano fattori relativi all'operatore e fattori relativi allo schermo dei videoterminali. Nel primo campo sono ricondotti innanzi tutto i difetti refrattivi, i difetti della motilita' oculari, i disturbi della visione binoculare e gli stati flogistici bulbari e congiuntivali (F. Pesce, F. Vitale Brovarone, D.G. Anfossi: "Risultati di un'indagine condotta sull'utilita' di filtri anteposti ai videoterminali nella riduzione dei disturbi oculari e nell'affaticamento visivo").

La proposta di valori limite dei diversi parametri oculari per l'abilitazione al lavoro ai vdt di B. Boles Carenini, G.F. Rubino, F. M. Grignolo, G. Maina (Giornale Italiano di Oftalmologia occupazionale, giugno 1984 pp. 195 ss.) in ordine ai vizi di refrazione preciso che se l'entita' della miopia e' superiore a -6,00 D v'e' l'opportunita' di un'applicazione ai vdt limitata al 50% del normale orario di lavoro.

Gli stessi autori nel 1989 riprendono lo studio per verificarne la validita' alla luce dei risultati dell'indagine condotta su trentamila dipendenti SIP e confermano che i soggetti ametropi riportano con piu' frequenza sintomi di affaticamento visivo. Dallo studio inoltre non emergono dubbi che vi possano essere, come prospettato cinque anni prima, eventuali limitazioni da esaminare caso per caso. Soprattutto si riconosce che e' "vero e dimostrato che alcune anomalie oculari possono favorire la insorgenza di disturbi astenopici, in questo caso ci sembra giustificato selezionare i soggetti a maggior rischio astenopico... inoltre l'attivita' visiva al vdt non puo' essere semplicisticamente valutata in termini di esposizione giornaliera, ma deve essere considerata in base al reale impegno visivo complessivo richiesto comprese le mansioni visive concomitanti alla lettura dello schermo" (Boll. Ocul., 1990, p. 91 ss.).

Fra i tanti lavori che confermano l'incidenza dei vizi di refrazione e delle altre anomalie della vista sull'insorgenza dell'astenopia v. De Palma, Franco, Bragliani, Marescotti, "Occhio e Videoterminali", p. 135 ss.; Galassi, Cicchella, Utari, Giacomelli, Zuccarini, "Le anomalie del sistema oculomotorio in un gruppo di operatori addetti al vdt", Boll. Ocul. 1990, pp. 139 ss. Dolcino e Anselmetti giungono ad un dato interessante nel 1987: fra 189 dipendenti della sede torinese dell'IBM Italia una percentuale di astenopici piu' alta si registra fra i soggetti affetti da vizi di refrazione (astigmatismo misto 80% e nei soggetti miopi 72,5%).

Attenzione merita lo studio di Scullica e Rechichi che analizzano i risultati dell'indagine presso i lavoratori della SIP ribadendo l'influenza dei vizi di refrazione sull'astenopia: in particolare viene notata da un lato "maggiore incidenza di astenopici fra i soggetti con vizio di refrazione di qualsiasi natura tanto negli uomini che nelle donne", dall'altro che "l'incidenza dell'astenopia e' superiore nelle donne, indipendentemente dal numero di ore di applicazione". Lo studio conclude che "i vizi di refrazione... agiscono aumentando l'incidenza dell'astenopia con importanza variabile a secondo del tipo di errore refrattario", in particolare le ametropie, l'ipermetropia e l'astigmatismo sono quelle a maggior rischio astenopico (Boll. Ocul. 1990, pp. 49, 52 e 53).

In definitiva "i lavoratori portatori di anomalie ortottiche o refrattive accusano una maggiore sintomatologia di disagio visivo, statisticamente significativa" (Boll. Ocul. 1990, p. 94).

Quindi, secondo la migliore scienza, i progressi o concomitanti disturbi della vista contribuiscono a far comparire precocemente e piu' gravemente l'astenopia.

Tuttavia tali disturbi - che giuridicamente costituiscono una concausa preesistente e simultanea - in forza dell'art. 41 comma 1 c.p. non elidono il nesso di causalita' tra determinate condizioni di lavoro al vdt e l'astenopia.

Piuttosto, provata scientificamente la maggiore esposizione al rischio specifico di astenopia del lavoratore affetto da disturbi alla vista, il datore di lavoro e' tenuto ad una sorveglianza sanitaria mirata e individualizzata, ad adibire il lavoratore al vdt soltanto per tempi adeguati e tollerabili, a informarsi a informare il lavoratore dei rischi specifici cui e' esposto anche in considerazione del suo pregresso stato di salute.

C) Riguardo altri effetti pericolosi per la salute correlabili alle condizioni di lavoro al vdt, allo stato attuale della scienza, non vi e' alcuna certezza ma soltanto ipotesi da approfondire, che il lavoro al vdt possa cagionare una patologia oculare diversa dalla sindrome astenopica quale ad es. un aggravamento di pregressi vizi di refrazione.

Ne sono testimonianza gli studi di Bonomi e Bellucci della clinica oculistica dell'Universita' di Verona i quali affermano che non v'e' relazione tra la quantita' di lavoro al terminale e la cataratta senile, l'afachia e la pseudofachia. Sui punto e' importante leggere le "Considerazioni su di un gruppo di addetti ai vdt seguito per 10 anni", dai 1978, (di De Marco, Giordano, Gandolfo in Boll. Ocul. 1990, p. 173 ss.) laddove si conclude nel senso che 'l'attivita' ai vdt: 1) non aumenta l'incidenza dei fenomeni patologici a carico delle strutture interne dell'occhio; 2) non influenza in senso peggiorativo i difetti di refrazione; 3) puo' causare, soprattutto nei primi mesi un certo scompenso della visione binoculare... 4) con una certa frequenza puo' favorire l'insorgenza di alterazioni del film lacrimale accompagnate per lo piu' da una blefarite cronica di tipo seborroica".

In ordine a tale problema i c.t. del P.M. dott. Occhipinti e Meroni in dibattimento confermano che allo stato della scienza non v'e' prova che l'uso del vdt possa cagionare la miopia.

In esito alla ricostruzione delle conoscenze scientifiche diffuse e recepite nell'ambiente di lavoro specifico dell'Enel - grazie all'indagine ambientale dell'Universita' Cattolica - si puo' affermare che gia' negli anni ottanta vi e' da un lato la piena consapevolezza della pericolosita' del lavoro al vdt con specifico riferimento alla sindrome astenopica e, dall'altro, l'indicazione delle misure tecniche, organizzative e sanitarie da adottare per i lavoratori da adibire o gia' addetti al vdt. V'e' anche un'indicazione specifica dell'incompatibilita' totale o parziale fra soggetti affetti da patologie oculari e uso del vdt.

Di conseguenza il lavoratore gia' negli anni ottanta non poteva essere adibito e mantenuto al vdt con disinvoltura, senza una sorveglianza sanitaria adeguata, senza informarlo dei rischi specifici corsi e delle misure preventive adottabili e senza la previsione di pause.

5. - I disturbi visivi della p.o.

Se la specificita' del rischio deve essere misurata e valutata anche in relazione alle condizioni di salute del lavoratore occorre illustrare lo stato dell'apparato oculo-visivo della p.o. prima e nel corso dell'adibizione al vdt.

Dalla documentazione prodotta dalle parti, dalla deposizione della M. e dalla c.t. emerge che nel 1967 la M. gia' presenta una miopia elevata con corioretinopatia e con conseguente idoneita' ad attivita' lavorativa soltanto in ambienti ben illuminati purché seguita annualmente. Dal 1981 alla M. viene diagnosticata la distrofia maculare bilaterale in miopia degenerativa elevata; per gli anni successivi i problemi di vista sono accertati dalla clinica universitaria di Ginevra, dal dott. Mateus Marquez della clinica Barraquer di Barcellona, dal dott. Palmaro (1979, 1980, 1981), dalla clinica oculistica di Firenze (1983) nonché nuovamente a Barcellona e dai medici di Boston (1984) - che eseguono l'intervento di trabeculoplastica bilaterale nei 1985 - dove ritornera' nel 1986 e nel 1987.

Quindi prima del 1986 la M. presenta un grave deficit all'apparato oculo-visivo che, sulla base di una normale cautela, esige almeno una verifica della compatibilita' con un lavoro che comporta specificamente la discriminazione di piccoli particolari.

Nell'ambiente di lavoro del SAC i problemi di vista della p.o. costituiscono un dato notorio tant'e' che tutti i colleghi di lavoro sottolineano di conoscere anche le lamentele della M.circa la facolta' di discriminare particolari al video. Dasso Loretta riferisce di aver visto e sentito le difficolta' della M, nell'applicarsi in quel tipo di lavoro al vdt (pp. 5-9). L'ing. B. riferisce di conoscere i problemi della vista della p.o. gia' dal 1979 (p. 103). Ulteriore conferma giunge dalle deposizioni di O., F., S., F., V. (che riferisce di aver notato che per svolgere quella mansione in concreto la M. ricorreva ad un altro paio di occhiali) e F. che ricorda la raccolta di fondi fra i colleghi di lavoro per consentire alla M. di sottoporsi ad un intervento di oculistica a Boston.

Il dott, P., che segue dai primi anni ottanta la M. e che organizza il viaggio a Boston in collegamento con i medici statunitensi, riguardo al certificato del 23.5.1986 dichiara: "la paziente era tornata, dopo questo intervento, in ottime condizioni... aveva avuto un notevole recupero in termini visivi e nello stesso tempo, soprattutto, non accusava piu' questi mai di testa; quindi, diciamo che era una situazione indubbiamente ottimale per quanto la riguardava Eravamo andati forse, anche oltre quelle che erano le speranze. E ricordo che in quel periodo lei mi chiese se poteva, in qualche modo, lavoratore almeno parzialmente al terminale perché non era possibile avere qualche altro tipo di lavoro. E io ho fatto un certificato che appunto, mi pare, dicesse che purché non si superassero determinati limiti, purché le condizioni in cui la paziente lavorava fossero sufficientemente valide, sufficientemente buone, la cosa mi pareva possibile... comunque in tempi abbastanza brevi, c'e' stato il ritorno inizialmente della cefalea; cefalea che si presentava fors'anche in determinati periodi... magari c'erano anche altri fattori perché il lavoro immagino fosse sempre quello. Notavo che c'erano dei cali visivi, quando c'erano queste cefalee, c'erano degli aumenti dei valori pressori che, pur rientrando nella normalita', erano comunque superiori a quelli che erano i valori base che questa signora aveva..,".

Il Dott. P. anche dopo l'intervento del 1986 registra alcuni sintomi tipici della sindrome astenopica: cefalea, cali visivi, aumenti dei valori pressori ed edema maculare. Egli stesso consiglia di evitare il sollevamento dei pesi per prevenire altri danni retinici e di evitare un lavoro in cui occorre discriminare i particolari perché l'esercizio del potere di accomodazione comunque comporta un maggiore affaticamento.

Tali problemi erano noti anche all'imputato, come espressamente riconosciuto nell'interrogatorio davanti al p.m.: "sapevo che la M. aveva dei disturbi visivi perché nell'ufficio se ne parlava e perché forse me lo disse lei stessa... sapevo che la M. era stata visitata presso la clinica Barraquer di Barcellona".

6. - Il periodo di lavoro al vdt

La p.o., nata nel 1946, lavora dal 1965 all'Enel e dal 1982 al 4º piano della sede Enel di corso Regina Margherita in Torino.

Circa il periodo in cui la M. inizia a lavorare davanti ad un vdt la stessa p.o. e i colleghi di lavoro D. e' O. indicano la fine del 1985 mentre altre deposizioni indicano i primi mesi del 1986.

Invero la determinazione del mese in cui inizia l'applicazione lavorativa al vdt e' questione di poco momento perché in questa sede rileva essenzialmente lo svolgimento e la fine del lavoro al vdt. Comunque le differenti versioni offerte in ordine al periodo in cui si introducono i vdt nell'ambiente di lavoro puo' essere superata attraverso la lettura della deposizione dei dirigenti dell'Enel; in particolare l'ing. B. precisa che alla fine del 1985 i vdt vengono introdotti in via sperimentale, mentre dai primi mesi del 1986 vengono avviati a pieno regime, Altre deposizioni (D., O.) nonché l'interrogatorio reso al P.M. dall'imputato confermano che dal 1986 la M. lavora quale addetta ai vdt presso il SAC, sotto la direzione dell'ing. S.G., fino alla fine del 1989. Verosimilmente quindi le diverse versioni emerse in dibattimento in ordine all'introduzione dei vdt in Enel si riferiscono rispettivamente all'avviamento in via sperimentale ovvero in via definitiva dell'uso dei vdt.

La p.o. non viene piu' adibita a condizioni lavorative sfavorevoli in ragione delle condizioni di salute soltanto con il pensionamento dell'ing. S.G., avvenuto il 31.12.1989.

Invero la p.o. viene sottratta al lavoro al vdt dopo il certificato del marzo 1989 ma continua ad operare nel SAC sotto la dirigenza dell'ing. S.G. che la trasferisce all'ufficio di segreteria, altro reparto dello stesso SAC.

All'interno del reparto segreteria la M., pur non operando con i vdt, continua a svolgere mansioni che richiedono un elevato impegno visivo. La deposizione della collega di lavoro M. indica con certezza sia il tipo di lavoro richiesto nel reparto segreteria sia la permanenza dei disturbi alla vista della M.: "il fatto di andare a cercare dei numerini di pratiche, piu' o meno ben stampati, richiedeva l'utilizzo della vista... in effetti certe fotocopie erano mai stampate, bisognava trovare dei numeri da fotocopie che erano mai stampate e (la M.) aveva difficolta' a fare questa ricerca... ogni tanto accusava dei disturbi agli occhi".

Sicché la M. ancora dopo il certificato del 2-3-1989 viene mantenuta in una mansione che richiede la capacita' discriminare piccoli particolari e quindi non adatta alle condizioni. Si noti che il giudizio di inidoneita' trasmesso dal c.t.o. all'Enel nel marzo 1989 espressamente indica un'inidoneita' non soltanto all'impiego di vdt ma piu' in generale "a qualsiasi mansione che richieda efficienza visiva e capacita' di discriminare piccoli particolari".

In tale nuova (ma non idonea) mansione la M. si ritrova ancora nel novembre 1989, basta leggere la missiva dell'Enel datata 8.11.89 con cui si comunica di cercare "di individuare un posto di lavoro piu' compatibile con le sue attese" e da cui si evince che frattanto la p.o. e' adibita agii stessi compiti del marzo precedente.

L'ing. B., che succede nella direzione del SAC all'ing. S.G., a decorrere dal giorno 1.2.1990 dichiara che: "quando diventai direttore del settore... presi alcune decisioni che, a mio avviso, servivano a modificare, sì, le mansioni della signora M., nel senso di renderle piu' gratificanti... avendo gli stessi poteri che prima era dell'ing. S.G., fino al mese prima, ho potuto prendere queste decisioni e le ho prese senza problemi, senza difficolta' quindi ho sottratto del lavoro poco qualificante ed ho aggiunto del lavoro piu' qualificante... quello che ho tolto e' stato praticamente l'obbligo di portare materialmente molto volume. Quello che ho aggiunto invece e' stato di affidarle le pratiche relative alla stipulazione dei buoni su piazza, che sono degli ordini fatti su certi moduli e che servono per approvvigionare il materiale che serviva per far funzionare il settore approvvigionamenti" (ud. 26.9.1995 pp. 102-103).

Da tali elementi documentali e testimoniali si evince chiaramente che fino al 31.12.1989 l'ing. S.G. mantiene la M. nelle medesime condizioni lavorative dei mesi precedenti ancorché avrebbe potuto e dovuto evitare quelle condizioni di lavoro ritenuto incompatibili con lo stato dell'apparato oculo-visivo della M. Infatti altre cause lavorative possono continuare a provocare i sintomi della sindrome astenopica ancorché non vi sia piu' un uso quotidiano del vdt: fattori ergonomici, psico-fisici, ambientali, illuminotecnici, provocano in una persona (qual e' la M.) gravata da miopia grave degenerativa un'ulteriore manifestazione della sindrome se comunque continua a svolgere un lavoro in cui deve applicare la capacita' di discriminare piccoli particolari.

Peraltro dalla consulenza tecnica si ricava che nel caso della M. vi e' una continuita' dei sintomi anche oltre la cessazione dei lavoro al vdt e vi e' una regressione soltanto con la cessazione di compiti lavorativi non comportanti impegno visivo.

Considerato che la violazione penale persiste e si protrae fino a quando non si adottano le misure prevenzionali prescritte il pretore osserva che il reato per cui si procede si protrae oltre il 2.3.1989, fin quando la p.o, non e' sollevata dal successore di S.G. da compiti gravosi (specificamente per la vista) e preposta allo svolgimento di mansioni definite "gratificanti". Il pretore ritiene che le cause e gli eventi che costituiscono caratteristiche della sindrome astenopica per cui si procede si sono verificati anche oltre il 24.10.89, fino al 31.12.89; e di conseguenza ai fini della declaratoria di amnistia e di prescrizione viene respinta la richiesta della difesa.

7. - Le ore di lavoro svolto quotidianamente al vdt

Nell'arco di tempo 1986-89 la p.o. e' adibita soprattutto alla lettura di documenti, trattamento e ricerca dati, dattiloscrittura tramite terminale e operazioni simili trascorrendo mediamente al vdt un numero di ore di gran lunga superiore a quello indicato da tutti gli studi specialistici (v. Dasso, ud. 17.10.1995).

Dalla missiva dell'Enel del 26.2.1993 - inviata ai ct. - si ricava espressamente che "l'interessata... inizia ad utilizzare un'apparecchiatura videoterminale per un tempo medio giornaliero compreso fra le tre e le quattro ore e le viene di conseguenza attribuita l'indennita' macchine per il trattamento dei dati.

Dalle deposizioni di D. (che parla di parecchie ore), O. (che indica il tempo trascorso al vdt in due terzi del lavoro e quindi cinque-sei ore), P. (che sostituisce la p.o. dopo il trasferimento interno e che indica in quattro-sei ore il tempo trascorso al vdt, ud. 17.10.1995 p. 50), M. (che parla di quattro-cinque ore) sì ricava che il tempo trascorso dalla p.o. al vdt quotidianamente e' di almeno quattro-cinque ore confermando così la deposizione della stessa M. che addirittura parla di circa sei ore.

A dissipare ogni dubbio sul punto interviene l'inquadramento retributivo riconosciuto alla M. con riferimento alla "indennita' macchine" - gia' oggetto della nota interpretativa ed applicativa dell'art. 31 c.c.l., redatta il 2.3.81 - e conferita in ragione del collocamento della mansione concreta nella fascia di lavoratori che presta servizio al vdt dalle tre alle cinque ore (vedi dep. O.). In proposito la deposizioni di F. - il quale insiste nell'affermare che la p.o. in quel periodo lavora al vdt non piu' di tre ore - non e' affidabile perché fondata su una mera osservazione del dirigente senza alcun vero controllo del tempo (ud. 15.11.1985 pp. 125, 200).

8. - L'informazione sui rischi specifici e sulle misure preventive.

Dalle deposizioni dei testi D., O., F., Franci, V. (totalmente in linea con le dichiarazioni della p.o.) emerge univocamente che la M. viene adibita e mantenuta al lavoro al vdt senza ricevere alcuna informazione ancorché generica sui rischi che presentava il lavoro al vdt.

I dirigenti dell'Enel F e Franci precisano che contestualmente o successivamente all'introduzione dei vdt non viene data alcuna informazione specifica riguardante i rischi o le eventuali misure preventive: "un problema che non venne in alcun modo affrontato" (ud. 15.11.1995, F. pp. 209-210). Si leggano anche i passi delle deposizioni di V F. e di F. laddove spiegando il tipo di istruzione operativa offerta per l'uso dei vdt specificano che non si tratta di informazione concernente la sicurezza e l'igiene del lavoro (ud, 15.11.1995 pp. 200, 292). Infatti nessuno dei testi colleghi di lavoro della p.o. e' in grado di riferire circa i rischi specifici del lavoro ai vdt.

Il teste F. specifica ulteriormente che, anche dopo la conoscenza del certificato del dott. P. riguardante la p.o., non viene preso nessun provvedimento organizzativo o meramente informativo rivolto alla p.o. al fine di differenziare la mansione espletata in concreto ovvero di consentire degli spazi o delle pause di recupero, seppur indicate anche dalla relazione dell'Universita' Cattolica e dal citato certificato medico (F. p. 200).

9. - Il reato di lesioni personali colpose

Dal complesso materiale istruttorio si evince che la M. dai primi mesi del 1986 alla fine del 1989 viene adibita e mantenuta ai vdt innanzi tutto senza alcuna sorveglianza sanitaria specifica che sarebbe stata "particolarmente importante in un soggetto portatore di un rischio individuale" (v. integrazione della c.t.).

Infatti la M. non viene sottoposta, prima o durante l'adibizione ai vdt, ad alcuna visita medica mirata a verificare l'idoneita' a tali compiti; cio' nonostante le indicazioni scientifiche, lo studio dell'Universita' Cattolica e le specifiche certificazioni sulla particolare condizione di salute che sconsiglia i compiti lavorativi con sforzo visivo (vedi per tutti il certificato di idoneita' parziale del 23.5.1986).

Inoltre la M, - come del resto gli altri lavoratori - non riceve informazione di sorta sui rischi specifici e sulle relative precauzioni da adottare per i lavoratori addetti ai vdt.

Sul piano del nesso di causalita', in linea con le conclusioni dei c.t. e con tutto il panorama scientifico, si deve affermare che i compiti lavorativi a cui e' stata adibita la p.o. hanno comportato un carico di lavoro visivo intenso (per il numero di ore), eccedente la capacita' di adattamento dell'occhio della M. (per l'osservazione di piccoli particolari) e incidente sulla nota miopia grave degenerativa con distrofia maculare e deficit funzionale visivo bilaterale cagionando la sindrome astenopica.

Tale evento e' provato dalle risultanze della c.t., ampiamente confermate dalle deposizioni della p.o. e dei colleghi di lavoro, i quali all'unisono riferiscono del malessere, delle lamentele e dei problemi di vista patiti dalla M.

La durata pluriennale della condotta dell'imputato, la costante presenza dei sintomi tipici dell'astenopia e soprattutto la regressione degli stessi con l'adibizione della p.o. a compiti lavorativi non comportanti impegno visivo ravvicinato, depongono a favore degli effetti permanenti della malattia per un arco di tempo superiore ai 40 gg.

Tale quadro fattuale e' indicativo della violazione innanzi tutto dei principi generali in materia di sicurezza del lavoro e delle specifiche norme derivanti dagli artt. 2087 cc. e 4 lett. b) d.p.r. 306/56 perché non si e' tutelata sufficientemente l'integrita' fisica e il diritto del lavoratore ad essere informato in ordine ai pericoli concreti presenti nell'ambiente di lavoro ed alle relative misure preventive. Cio' in quanto la M. viene adibita a compiti lavorativi in cui si richiede un particolare impegno visivo per il lavoro al vdt, non tenendo conto delle condizioni dell'organo della vista, non effettuando una sorveglianza sanitaria, trascurando le specifiche certificazioni sanitarie, non rendendo edotta la M. dei rischi specifici corsi per l'apparato oculo-visivo.

Il pretore osserva inoltre che la condotta di chi era tenuto a garantire particolari condizioni di lavoro non urta soltanto contro norme cautelari specifiche, ma ancor prima contro un comune requisito di diligenza, prudenza e attenzione. Infatti il datore comunque deve evitare che il lavoratore affetto da un disturbo della vista venga adibito ad un compito in cui e' necessaria l'applicazione particolare dell'organo della vista e specificamente del potere di accomodazione.

Tale condotta colposa e' attribuibile all'imputato per la posizione dirigenziale del S. G. all'interno del SAC dell'Enel in Torino, che non e' posta in dubbio da nessun elemento probatorio o da argomentazioni della difesa.

L'imputato all'interno del settore poteva disporre l'adibizione della p.o. ad altri compiti lavorativi ed aveva tutti gli altri poteri amministrativi per richiedere una diversa organizzazione del lavoro e una specifica sorveglianza sanitaria sui dipendenti addetti al vdt. L'istruttoria dibattimentale evidenzia con certezza che l'imputato non ha svolto alcuna specifica forma di tutela che tenesse conto dei rischi specifici del lavoro al vdt e della particolare condizione di salute della M. che di fatto la rendeva particolarmente esposta al rischio di astenopia.

A tal riguardo la prova di un atteggiamento genericamente e specificamente colposo non puo' essere superato dagli argomenti della difesa sul principio di affidamento.

Infatti la lettura del certificato medico del dott. P. del 23.5.1986 non induce una sicurezza sulla possibilita' e idoneita' di adibire la p.o. al vdt, senza alcuna limitazione oraria e senza altra sorveglianza sanitaria, ma piuttosto segnala le particolari condizioni della vista della M., tali da escluderne l'adibizione e il mantenimento al vdt con le stesse modalita' imposte a tutti gli altri colleghi. Pertanto la lettura complessiva del certificato non ingenera un fondato affidamento incolpevole e, anche in base agli altri documenti sanitari, S.G. non avrebbe dovuto lasciare intatte le condizioni di lavoro della M. Invece pur dopo tale documentazione sanitaria nulla e' mutato nelle condizioni di lavoro della M.

Le descritte condizioni di lavoro sono aggravate anche da difficili rapporti personali tra l'imputato e la p.o., che rilevano per il nesso fra la situazione psico-fisica del lavoratore addetto al vdt e l'insorgenza della sindrome astenopica, nonché sotto il profilo della prova dell'elemento soggetto e della personalita' dell'imputato.

Quasi tutti i colleghi evidenziano tali rapporti. In particolare le ampie dichiarazioni della p.o., volte ad evidenziare una scarsa attenzione o addirittura un aperto contrasto, sono confermate dalla teste D. L. che da sempre lavora nello stesso SAC e che espressamente riferisce dei "rapporti non facili" e delle lamentele della p.o. per via del lavoro faticoso (ad es. trasporto di cartelle). Nello stesso senso depongono F., P., F. e B. Quest'ultimo riferisce espressamente del lavoro poco gratificante e di essere intervenuto appena possibile, cioe' appena presi gli stessi poteri e doveri di S.G. per attribuire alla p.o. un lavoro gratificante (pp. 101-102 ud. 26.9.1995).

Ma la disattenzione, l'imprudenza e la leggerezza con cui S.G. considera i problemi di salute della M. emergono in una riunione tra l'imputato, D. P., F., B. durante la quale si coglie un certo "attrito" che porta il S.G. a dire espressamente che della M. se ne vuole occupare di persona (p. 107 ud. 26.9.1995).

Infine e' illuminante l'episodio descritto dalla teste M. che riferisce di aver ricevuto una telefonata dall'ing. S.G. nel corso della quale quest'ultimo le chiedeva, a seguito del trasferimento della M., di essere informato delle pause e delle assenze ingiustificate della p.o.

Tale quadro dei rapporti umani di cedo non ha alleggerito lo stress della M. e verosimilmente non ha evitato un'ulteriore causa, intrinsecamente psicologica, della sindrome astenopica.

In relazione a tale quadro probatorio il pretore respinge le istanze di proscioglimento della difesa posto che dall'istruttoria dibattimentale e' emerso che l'imputato ha compiuto una condotta genericamente e specificamente colposa che ha provocato la lesione costituita dalla sindrome astenopica.

10. - La pena

Ritenuta la sussistenza dell'elemento oggettivo e dell'elemento soggettivo del reato ascritto all'imputato il pretore dichiara la penale responsabilita' di S.G.

Al fine di determinare la pena con riguardo ai criteri ex ad. 133 c.p. il Pretore osserva che il danno cagionato, i tempi e le modalita' della condotta nonché la gravita' della colpa, la motivazione ed il carattere del reo - come emerge dai comportamenti descritti dai colleghi - nonché l'assenza di precedenti penali e la buona condotta di vita contemporanea e susseguente al reato depongono a favore della pena detentiva di mesi due di reclusione. In particolare il pretore ritiene che la durata della condotta e gli atteggiamenti assunti dall'imputato nel corso dei rapporti professionali ove si e' consumato il reato portino ad escludere l'applicazione di una pena pecuniaria. La pena base di due mesi di reclusione e' diminuita a mesi uno e giorni dieci di reclusione per la concessione delle attenuanti generiche in ragione dell'assenza di precedenti penali in capo all'imputato.

Segue di diritto la condanna alle spese processuali.

Sussistendone tutti i presupposti si concedono i benefici della sospensione condizionale della pena nei termini e nelle condizioni di legge e il beneficio della non menzione sul certificato del casellario.

11. - La parte civile

La p.o. M. L. si costituisce parte civile e chiede la somma di lire 200.000.000 a titolo di risarcimento del danno morale e patrimoniale. A tal riguardo il pretore, accogliendo gli argomenti della difesa dell'imputato, evidenzia che la parte civile chiede un risarcimento dei danni anche in relazione alle spese e alle sofferenze patite a causa della miopia e dei costosissimi viaggi negli USA, in Svizzera e in Spagna oltre che in varie cliniche italiane per sottoporsi a visite ed interventi. Ma tali danni sono innanzi tutto relativi alla miopia grave che costituisce uno stato pregresso rispetto alla sindrome astenopica; in secondo luogo la miopia non e' oggetto dell'odierno procedimento trattandosi di una patologia diversa e pregressa rispetto alla sindrome astenopica ascritta all'imputato; infine si noti che dalla storia clinica della M. emerge che comunque la maggior parte dei viaggi e delle relative spese riguardano un periodo precedente a quello oggetto dell'imputazione.

Peraltro in ordine agli eventuali danni patiti dalla parte civile per la sindrome astenopica successivamente al 1986 non e' stata offerta alcuna prova o principio di prova che consentisse di procedere alla valutazione equitativa del danno biologico e morale e di liquidare una somma a titolo di risarcimento. Di conseguenza il pretore pur riconoscendo il diritto della M. ad un risarcimento, al quale viene condannato l'imputato, non puo' liquidare tale danno. Per gli stessi argomenti non e' possibile condannare l'imputato in questa sede al pagamento di una provvisionale, perché ai sensi dell'art. 539.2 c.p.p. la condanna puo' essere pronunciata "nei limiti del danno per cui si ritiene gia' raggiunta la prova".

In forza dell'art. 541 c.p.p. il pretore condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile e che si liquidano in lire 4.696.250 oltre I.V.A. e C.P.A., tenuto conto del numero delle udienze, dell'attivita' dibattimentale svolta e della difficolta' del procedimento.

P.Q.M.

Visti gli artt. 177 e 189 trattato CEE dichiara la manifesta irrilevanza della questione pregiudiziale comunitaria sollevata dalla difesa;

Visti gli artt. 533 ss. c.p.p. dichiara l'imputato responsabile del fatto ascrittogli e concesse le attenuanti generiche lo condanna alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione oltre alle spese processuali;

Si concedono i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione;

Visti gli artt. 538 ss. c.p.p.

condanna l'imputato al pagamento dei danni patiti dalla parte civile M. L. A. che saranno liquidati dal giudice civile; respinge la richiesta della parte civile di condannare l'imputato al pagamento di una provvisionale;

Visto l'ad. 541 c.p.p.

condanna

l'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile che si liquidano in lire 4.696.250 oltre IVA e C.P.A.

Riferimenti normativi :

Cod. pen 19 ottobre 1930, n.1398, art.590

D.P.R. 19 marzo 1956, n.303, art.4

Cod. civ. 16 marzo 1942, n.262, art.2087

D.P.R. 27 aprile 1955, n.547, art.4

D.Lgs 19 settembre 1994, n.626