CRIVELLI E LE MARCHE

MADONNA COL BAMBINO

Ancona, (Civica Pinacoteca)

Tavola, cm 21 x 15. Firmata: OPUS CAROLI CRIVELLI VENETI

Secondo quanto riportato da uno storico anconetano dell'ottocento (S. Melchiorri), Ia piccola e preziosa tavola venne collocata nel 1480 nella cappella della chiesa di S. Francesco ad AIto fatta erigere dal Padre Bernardino Ferretti, in onore della Vergine Assunta, e resa di patronato;della comunità anconetana.
A eccezione di questa tarda notžzia nulla si sa dell'opera prima della fine del '700 quando, in un manoscritto dell'epoca (M. Oretti) viene ricordata in sagrestia nello stesso luogo dove un secolo dopo (1861)1a videro il Morelli e il Cavalcaselle. Con le soppressioni religiose e la trasformazione a usi militari dell'intero complesso monastico (annoverato fra i più antichi e prestigiosi della città e solo a partire dal 1425 in possesso dei Minori Osservanti), il dipinto venne destinato alle civiche raccolte. Rimase esposto nelle sale della Pinacoteca dal 1884, anno della sua costituzione, fino all'ultima guerra quando venne trasferito a Urbino. Da qui poté ritornare ad Ancona a grazie alla mostra sulla "Pittura veneta nelle Marche" nel 1950. Sebbene di ridotte dimensioni, il dipinto rivela appieno le eccezionali qualità pittoriche del Crivelli e quella sua particolare inclinazione alla lucida e analitica resa dei dettagli. In rispetto di un modello già ampiamente sperimentato, l'artista inscrive la figura a mezzo busto della Vergine che sorregge il Bambino entro uno spazio cubico, delimitato in primo piano dal prospetto della balaustra su cui campeggia la firma e il drappo serico su cui proietta la propria ombra un festone di frutta. Una sorta di schermo che separa il mondo del divino e quello dell'umano, dominato dalla presenza del paesaggio. L'orizzonte si abbassa a scoprire un fondo azzurro rarefatto dal quale emergono i profili di montagne, torri e campanili, e le distanze sono misurate dai sottili nastri bianchi delle strade che si snodano a serpentina e si animano di piccole e agili figure dai copricapi a turbante. Si ritrova in quest'opera, così come in quella oggi al Metropolitan Museum di New York, un'attenzione alla resa quasi miniaturistica dei particolari. Con quel dipinto americano condivide, in particolare non solo l'impianto complessivo ma anche i tratti somatici dei protagonisti e la particolare fattura delle aureole dorate e impreziosite da gemme, nonché la tipologia del festone di frutta.
Il tratto sottile non solo riesce a rendere brillante e vivido il ricamo del manto o la trasparenza delle pietre preziose, ma raggiunge il virtuosismo nelle venature della balaustra di marmo e nelle cordicelle che ricadono lungo la costa del volume aperto e con le pagine appena mosse da un alito di vento. Sotto l'apparente serenità della scena e al di là del muto e affettuoso dialogo tra madre e figlio, si celano più profondi significati simbolici che rimandano alla missione di salvezza e redenzione compiutasi attraverso l'incarnazione e il sacrificio di Cristo. In tal senso può essere inteso il valore delle mele, allusive al peccato originale e alla salvazione compiutasi attraverso la Resurrezione, avvenuta dopo tre giorni dalla morte, lo stesso tempo che Giona trascorse nel ventre della balena prima di risvegliarsi sotto un pergolato di zucchine, cucurbitacee anch'esse come il cetriolo del festone. E ancora: il pettirosso, che la leggenda vuole si macchiasse di una goccia del sangue di Cristo crocifisso quando tentò di togliere dalla sua fronte una spina della corona. Qui l'animale è legato da un sottile filo al polso del Bambino, quasi una precognizione delle future sofferenze che lo attendono e alle quali non si può sfuggire.
(M.M.]