I1 dipinto della Pinacoteca di Macerata costituisce l'elemento superstite di una composizione di maggiori dimensioni, ricordata dal Lanzi nella chiesa di S. Croce, ma originariamente collocata presso la più antica chiesa di S. Maria della Pietà, fondata da S. Giacomo della Marca nel 1426 per i Minori Osservanti. L'opera, posta sull'altare maggiore della nuova chiesa di S. Croce, venne poi spostata nella prima cappella a mano dritta. Nel 1799, nel corso della feroce repressione attuata dalle truppe francesi per dissuadere gli insorgenti maceratesi dalla rivolta armata, la chiesa di S. Croce venne data alle fiamme insieme ad altri due edifici sacri cittadini. Nell'incendio, i dipinti conservati sui vari altari subirono danni gravìssimi, ma non andarono compleamente perduti: è pertanto possibile ipotizzare che un ignoto cultore delle arti abbia recuperato il frammento crivellesco fra le rovine della chiesa, per poi; consegnarlo, non si sa in quale modo, al comune di Macerata. Secondo quanto riportato da Amice Ricci il dipinto fu collocato nella Camera d'Udienza, a opera del Confaloniere, barone Luigi Narducci Boccaccio. E' probabile che in quella occasione sia stato effettuato l'intervento di restauro e il trasferimento della superficie pittorica dal supporto ligneo alla tela, ricordato nel 1888 quando il quadro giunse alla Biblioteca Comunale. Se dunque si tratta di un frammento di una composizione più ampia, una possibile ricostruzione del dipinto originario ci è fornita da un manoscritto del Compagnoni, dove l'opera è attribuita al Perugino e viene indicata come simile a quella di Marco Palmezzano (allora confuso con Melozzo da Forlì) eseguita nel 1501 per la chiesa dei Minori Osservanti di Matelica. Se l'attribuzione fu rettificata dal Ricci (1834) sulla base dell'iscrizione posta su un frammento di tela nel resto del dipinto, il confronto fra l'opera di Macerata e quella di Matelica, proposto nel manoscritto del Compagnoni, potrebbe farci ipotizzare che la tavola del Crivelli avesse una struttura simile a quella del dipinto del Palmezzano nella chiesa di S. Francesco a Matelica, non dunque un polittico suddiviso in vari scomparti, ma una scena unitaria, con la Madonna al centro e due Santi ai lati e sormontata da una cimasa curvilinea raffigurante la Pietà. In proposito già lo Zampetti aveva pensato di collegare al frammento di Macerata la Pietà del Fogg Art Museum di Cambridge, passata dalla collezione Caccialupi di Macerata a quella Vevin e quindi entrata nel museo americano. Anche il dipinto statunitense presenta condizioni tali da far presumere che sia stato danneggiato nel corso di un incendio, tanto da rendere necessarie le estese ridipinture che interessano tutte le figure. La Pietà di Cambridge doveva dunque far parte del dipinto dei Minori Osservanti di Macerata e lo scorcio dal basso della scena ne testimonia la collocazione nello spazio centrale del registro superiore, sopra alla Vergine conservata presso la Pinacoteca.
Il gesto del Bambino che stringe a sé la Vergine è desunto dall'immagine affrescata da Gerolamo di Giovanni in un'edicola già a Villa Malvezzi di Bolognola, oggi presso la Pinacoteca Civica di Camerino. Nell'opera del Crivelli compaiono vari elementi di assoluta identità rispetto all'affresco del pittore camerte; la foggia del velo di Maria, il risvolto sulla manica dell'abito del Bambino, la direzione dello sguardo della Vergine indirizzato verso il devoto, persino il consueto drappo davanti allo schienaledel trono. Ma il Crivelli rende in modo più convincente e realistico il gesto con cui Maria sorregge il Bambino proteso verso di Lei; la mano sinistra che stringe la gamba e la destra che sostiene la coscia rivelano da parte dell'artista una ben maggiore capacità di osservazione del naturale rispetto alla soluzione secca e convenzionale offerta da Gerolamo di Giovanni.
Questa identità iconografica sottolineata dalla critica costituisce comunque la prova di un diretto contatto fra i due artisti che forse già si erano conosciuti a Padova intorno al 1450.
(S.P.)